II. LA PRIMA FASE DELLA FILOSOFIA VICHIANA
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certe aggiunte, poi rifiutate, che faceva nel 1731 alla
Scienza Nuova 1, ripeteva con leggiere varianti, la stessa
critica, sul principio che « gli addottrinati non debbono
ammettere alcun vero in metafisica che non cominci dal
vero ente, eh’ è Dio ». Ricorda quivi e critica anche Spi¬
noza, sforzandosi (con argomenti che dovevano contentar
poco lui stesso, e più tardi infatti vi rinunziò) di dimo¬
strare una reale distinzione tra il mio essere e il vero
Essere.
La questione già gli si era presentata nel De antiquis¬
sima) quando arditamente asseriva: in Deo meam ipsius
mentem cognosco; facendo Dio omnium motuum sive cor-
porum sive animorum primus Auctor. Gli s’era affacciata
negli stessi termini che a Plotino e a tutti quelli che
s’eran messi sulle tracce di lui, finché Spinoza non trasse
col coraggio del genio filosofico la conseguenza necessaria,
che sola poteva chiarire il gran difetto di quel primus
Auctor. — Unde mala ? — Vico sente tutta la difficoltà:
« sed heic illae syrtes, illi scopuli. Quonam pacto Deus
mentis humanae motor, et tot prava, tot foeda, tot falsa,
tot vicia ? ». Cartesio che, appena raggiunta la sola realtà
certa del pensiero, la smarrisce ricascando nel platonismo
della cognizione intellettuale, che è passiva intuizione
delle idee oggettive, spiega del pari platonicamente
l’errore con la volontà: che non si sa poi perché
non debba essere della stessa passività dell’ intelletto,
se la sua libertà non importa altro che la possibilità del¬
l’errore. La soluzione del Vico è più profonda. Nessuno,
come insegna il Vangelo di Giovanni, può andare al
Padre, nisi Pater idem traxerit. E la volontà ? Quomodo
trahit, si volentem trahit ? Vico aveva accettato e accetta
la dottrina agostiniana come la più conforme alla so¬
1 Pubblicate per la prima volta nell'ed. Nicolini, pp. 242-3, ma
da lui anticipate nella Critica, Vili (1910), p. 479.