II. LA PRIMA FASE DELLA FILOSOFIA V1CHIANA 37
verrebbe una metafisica che stabilisse un solo genere di
sostanza corporea operante »: e quindi alla sua metafisica
una fisica fondata sui principii spirituali (spiriti seminali)
dei corpi. Ed aveva ragione, come dimostrava in quel
torno, a insaputa di Vico, il Leibniz, che movendo dal
cogito cartesiano, trasformava il meccanismo nel dina¬
mismo. E in conclusione quello sterile abbozzo metafisico
delle Meditazioni, soffocato dal meccanismo quindi in¬
capace di svolgimento sistematico, parve al Vico niente
più che un brandello del platonismo suo. Più tardi, quando
s’acuì il suo senso di avversione al cartesianismo, scrisse
addirittura il Descartes non aver fatto altro che tracciare
« alquante prime linee di metafisica alla maniera di Pla¬
tone.... per avere un giorno il regno anche tra’ chiostri,
dove una metafisica materialista non sarebbe stata mai
accolta ». Ingenuo giudizio postumo. Quando, intorno
al 1695, potè conoscere le Meditazioni dovette scorgervi
tracce luminose di verità, rese più visibili dal contrasto
di esse col giudizio che egli aveva dato della fisica carte¬
siana e con l’aspettativa, poi delusa, che questa gli aveva
fatto nascere rispetto alla metafisica. L’inconseguenza
cartesiana dovè parergli una felix culpa, da render degno
di stima anche ai suoi occhi il celebrato filosofo francese;
e con l’acrisia ermeneutica, della quale doveva dare nelle
sue opere così curiosa dimostrazione1, dovette in un primo
momento piuttosto esagerare che attenuare il merito
del Cartesio, scorgendovi più platonismo che realmente
non vi sia, e che lo stesso Vico più tardi non vi ricono¬
scesse. Il suo neoplatonismo non era la preparazione
più adatta per entrare nello spirito del cartesianismo,
né per quel che è il difetto, né per quel che è il pregio di
esso. Ei rimase chiuso dentro di sé a rimuginare il suo
1 V. le note del Nicolini alla sua edizione della Scienza Nuova.