VI. IL FIGLIO DI G. B. VICO
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d’allegazioni ed altre scritte forensi ; ed accorse ad ovviare
a tale inconveniente col fondare una cattedra di Elo¬
quenza italiana, e fece sì che la lingua di Dante,
del Petrarca e del Boccaccio e de' tersi scrittori del secolo
decimosesto s’intendesse, s’imparasse per principii e si
pregiasse ».
Il pensiero risale certo ad A. Genovesi, che fu il primo,
com'è noto, a insegnare nell’ Università in italiano, quando
iniziò le sue lezioni di Economia civile. E quando, dopo
la cacciata de’ gesuiti, nel 1767, ebbe incarico dal Tanucci
di formare un piano di scuole — che poi non potè essere
adottato, almeno interamente — propose anche « una
scuola di lingua, di eloquenza e di poesia toscana ; per¬
ciocché, mirando già tutte le nazioni di Europa a rendere
volgari e comuni le regole delle arti e delle scienze, parve
all’abate Genovesi necessario che i giovani si avvezzassero
di buon’ora a sapere parlare e scrivere con nettezza ed
eleganza la propria lingua ». Ma « questo studio sì neces¬
sario », concludeva il biografo del Genovesi, nel 1770 *,
« è intanto il più negletto nella nostra educazione ».
Importante è quello che lo stesso Napoli-Signorelli,
dopo avere accennato alle altre cattedre moderne stabilite
con la riforma del 1777, ci dice della impressione che di
quelle novità ebbero i contemporanei : « Chi crederebbe »,
egli esclama, « che queste gloriose novità dovessero sem¬
brare innovazioni inutili a certi vecchioni che non hanno
mai inteso più oltre delle istituzioni mediche, legali e teo¬
logiche, della fìsica di Aristotele o di Cartesio, e della
nuda pedanteria (ma non altro) delle lingue dotte ? E pure
odonsi alcune sparute larve, ignoranti dell’importanza di
tali stabilimenti, mormorarne e torcere il muso : — Quali
cattedre ! (van dicendo) lingua italiana, agricoltura, chi¬
1 G. M. Galanti, Elogio stor. del sig. ab. A. Genovesi, 3a ed., Fi¬
renze, 1781, pp. 71, 91-3, 109.