Full text: Studi Vichiani

VI. IL FIGLIO DI G. B. VICO 
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essersi appellate colonie e municipi ? Non ha inteso li distinti cit¬ 
tadini municipali in sì poco conto presso li romani ? Non conosce 
quindi, che il tutto si riduce alla distinzione del nome ? Perché 
struggersi per investir la sua patria di un pregio, che, in tempo 
che valeva, era in sì poco conto, ed ora si riduce a un nome vano, 
in guisa che, se allora municipium e colonia eran riputati lo stesso, 
ora questo istesso è divenuto un nulla ? C 
In questa dotta relazione, dove 1’ «immortai Muratori » 
è vichianamente detto, con ammirazione, « ingordo vora¬ 
cissimo rivolgitor di biblioteche », è pur degna di nota, 
in mezzo all’erudizione archeologica, una disgressione filo¬ 
sofica, o «disgressione in astratto», come dice l’autore; 
e che egli chiede di poter fare, giudicandola « non capric¬ 
ciosa, perché avvalorata dall’autorità; se poi applicabile 
alla nostra ricerca, lo sottopongo al giudizio de’ dotti ». 
Da quale autorità, Gennaro non dice; ma basta sentirne 
il principio per indovinare l’allusione: 
È costante che le lingue sieno indici, che ci scoprono li co¬ 
stumi delle nazioni; e perché fide interpreti dell’animo, dovettero 
nascere aspre, dure, orride, esprimendo la rozzezza e la ferocia 
delle nazioni, che le parlavano; a misura poi che li costumi a poco 
a poco s’ ingentilirono colle arti dell’ umanità, si raddolcirono 
anche le lingue: del che ce ne somministra una testimonianza la 
lingua latina, la quale tale la scorgiamo in que’ frammenti delle 
leggi delle XII Tavole; e pure cominciava il quarto secolo della 
fondazione di Roma. Tal dovette essere, e fu la lingua di Lucilio, 
di Pacuvio, di Livio Andronico, di Ennio; e Plauto, che ci è 
restato, e provenne assai più tardi, essendo morto nel consolato 
di Publio Claudio Pulcro e di L. Porzio Licinio, cioè nel 570 di 
Roma, di quante ruvidezze e racidumi è pieno ! Come, per esem¬ 
pio, nel Prologo dell’Anfitrione : 
1 Di questa relazione rimane una copia di mano del marchese di 
Villarosa. Anche all’Accademia credo sia stata letta una breve Rela¬ 
zione intorno a certe dissertazioni su Virgilio di A. De Sanctis, che 
resta tra le carte di Gennaro, curioso documento della sua bonarietà, 
contraria a ogni ipercritica, e un po’ anche alla stessa critica.
	        
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