III. LA II E LA III FASE DELLA FILOSOFIA VICHIANA I27
si estenda, si moltiplichi, si determini, si muova e dia
luogo alla natura. La quale è opera di Dio, e perciò è
conosciuta soltanto da lui. Pure quel semplice sguardo
negativo gettato dentro al segreto della natura basta a
farci apparire tutta la meccanica del determinismo una
apparenza seco stessa contradittoria. Come Leibniz, Vico
non sa più concepire quiete assoluta, né comunicazione
di movimento. Accetta da Malebranche l’occasionalismo *,
e con lui ascrive a Dio ogni attività: «Lo sforzo dell’uni¬
verso, che sostiene ogni piccolissimo corpicciuolo,... non
è né l’estensione del corpicciuolo, né l’estensione del¬
l’universo. Questa è la mente di Dio, pura d'ogni corpo-
lenza, che agita e muove il tutto »2. E quel che Dio è
ai corpi, è anche alle menti, in cui il Vico, traendo audace¬
mente alla massima coerenza 1’ intuizione neoplatonica
del Malebranche 3, non ammette se non quello che vi
pensa Dio, omnium motuum, sive corporum sive animo-
rum, primus auctor.
Sicché il dinamismo vichiano del De antiquissima ri¬
specchia quella critica interna del meccanismo carte¬
siano che, attraverso Geulincx e Malebranche, perviene
in Leibniz al superamento della fisica come scienza dei
fenomeni (dei corpi formati, come dice Vico)
nella speculazione dei punti metafisici, che caratterizza,
come tutti sanno, la prima fase della filosofia leibniziana;
ma non raggiunge il concetto della monade. Giacché,
per quanto si sforzi il Vico d’introdurre e affermare nella
sua stessa intuizione emanatistica il concetto della libertà
dello spirito (che è la nota più profonda della monade),
1 « Dunque la percossa non serve ad altro che di occasione che lo
sforzo dell’universo, il quale era si debole nella palla, che sembrava
star queta, alla percossa si spieghi più, e, più spiegandosi, ci dia ap¬
parenza di più sensibile moto »: Sec. risposta, in Opere, I, 265.
2 Prima risp., § III, Opere, I, 218.
3 Cfr. De antiq., cap. VI.