II. J.A VERITÀ
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uscire dalla monade che non ha finestre : un semplice
riflesso, affidato a una parola, del divino estrinseco alla
mente, li la mente nostra resta commutabile per tutte
guise, e per sé quindi incapace di giudicare: mente che
non è intelletto, né niente. E la luce è quella di Giovanni,
quae illuminai omnetn hominem venientem in hunc mun-
dum; il verbo di Giovanni, che era in principio presso
Dio.
La stessa idea Bonaventura ha di un altro aspetto dello
spirito, con uguale acume affisato da lui nella terza opera¬
zione intellettuale: l’illazione. Non c/è illazione senza la
coscienza della sua necessità. Anche i termini contingenti,
annodati nel nesso dell’ illazione , rivestono questa
forma della necessità : Si homo currit, homo movetur. E non
solo i contingenti, bensì anche i non esistenti. Insomma, la
necessità non è nella materia del processo logico, ma in
questo processo. E se il processo fosse della mente che è
intelletto, questa necessità, che ha del divino, compete¬
rebbe qui appmito allo spirito umano. E ciò importerebbe
la sottrazione dello spirito alla legge della causalità natu¬
rale, dove la necessità dell’effetto dipende dall’ ipotesi
della causa, che, contingente essa, fa contingente lo stesso
effetto: dove insomma non sono altro che fatti, il cui
contrario non implica contraddizione. Ciò quindi verrebbe
a significare una prima affermazione dell’apriorità o auto¬
nomia assoluta dello spirito. Ma san Bonaventura è lon¬
tanissimo da queste conclusioni. Egli dice: Huiusmodi
igituv illationis necessitai non venif ab existentia rei in
materia, quia est contingens, nec ab existentia rei in anima,
quia tunc esset fictio, si non esset in re: venit igitur ab
exemplarùate in arte aeterna, secundum quam res hahenf
aptìtudinem ci habitudinem ad invicem secundum illius
aeternae artis repraesentationem.
Della necessità logica, che non è considerata come ap¬
punto la forma o la natura dello spirito, sibbene come