II. LA VERITÀ
1Ó
francescana, non permette a quella oscura visione di
ascendere a concetto adeguato dello spirito L
7. Bonaventura, dunque, si è proposto il problema della
conversione di Francesco in Cristo, o dello spirito empirico
nello spirito assoluto. In questo mondo, egli dice, lo stesso
universo è scala per salire a Dio. Ma nei l’universo si
1 [li concetto qui adombrato delia scolastica nei suoi rapporti con
la filosofia greca e tenuto presente in tutte queste letture non mi pare
sia stato bene interpretato dal Nardi nella bella recensione di queste
letture da lui scritta nel Bollettino Bibliografico della Voce di Firenze
(1913, a. V, n. a6) : dove mi obbietta che « non è punto vero che il Medio
Evo ereditasse tali e quali i s a oi problemi dal mondo greco; ma li
generò dall’intimo della propria vita spirituale... Si può dire che nessun
problema della filosofia greca in risollevato nel Medio Evo nelle identiche
condizioni e colle stesse preoccupazioni dell’animo greco ». Verità che
10 non pensai mai a contestare e che credo risultino anche da queste
letture, necessariamente molto, forse troppo sintetiche. E se il Nardi
avesse più atteso a questo carattere del mio lavoro, che m’imponeva di
considerare la filosofìa medievale da un punto di prospettiva molto
remoto ed atto ad abbracciare in un breve obbiettivo tutta la storia
della filosofia, si sarebbe pur reso conto della impossibilità in cui ero
di insistere sul tono particolare della filosofia medievale rispetto a
quella greca, e su talune minori divergenze di secondario significato
nello svolgimento generale del pensiero.
Ma quando egli vuol additarmi un esempio delle differenze che le
nuove esigenze dello spirito cristiano importavano nel ripensamento
degli stessi problemi della filosofia greca, non mi pare che abbia la
mano felice. « La presenza », egli dice, « della luce eterna e la eoope*
razione divina all’atto dell’intendere è una novità tutta cristiana che
mancava al platonismo. L'atto dell’intendere non è propriamente né del
solo lume creato né di quello increato, ma è dovuto alla cooperazionc
simultanea dell’uno e dell’altro. Questo mistico contatto colla luce
divina non è più il vecchio innatismo né la reminiscenza platonica,
ma l’espediente provvisorio per soddisfare un’esigenza nuova che si
svegliava a poco a poco nella coscienza cristiana... ». E io non voglio
negare che la cooperazione come e spediente rispondesse a un
bisogno cristiano (che, a proposito deU’Aquinatc, più in qua, ho messo
in luce anch’io) ; ma quando, a chiarimento della cooperazione stessa,
11 Nardi osserva che « il dio del filosofo medievale ha creato il mondo,
e lo pervade tutto operando in esso non dal di fuori ma ponendosi nella
intimità della sostanza creata », io osservo che questo è neoplatonismo
{anzi stoicismo) e non cristianesimo; e basta vedere che cosa diventi
nell'Ethica di Spinoza questa presenza di Dio nell’intelletto umano
per convincersi che codesto misticismo non è spiritualismo cristiano,
ma ben piuttosto naturalismo greco].