II. BERNARDINO TELKSIO
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aristotelica si ispira e si conforma. Giacché averroisti e
alessandristi, per diverse vie, tendono tutti alla stessa
mèta: che è la spiegazione naturale di quel che una volta
pareva superiore affatto alla natura. E gli artisti, si chia¬
mino Ariosto o Folengo, non conoscono altro mondo,
oltre quello naturale ed umano.
Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel Dio, che stando
fuori della natura e dell'uomo, ci rende impossibile conce¬
pire una natura divina e un uomo divino, Dio essi lo
negavano, perché tenevano ad affermare il valore assoluto
della natura e dell’uomo. Ma quel Dio, che era sceso in
terra, e si era fatto uomo, e aveva redento la natura, era
la radice della religione, che essi primi, dopo il lungo tra¬
vaglio medievale, ristauravano nella coscienza della uma¬
nità.
Essi, infatti, per la prima volta, rivendicavano in libertà,
dalle presunzioni mistiche o intellettualistiche, causa per
opposte ragioni di oppressione aduggiatrice, il senso pro¬
fondo proprio del cristianesimo, della divinità della vita
che crea eternamente se stessa, dell’essere che nella propria
logica ha eternamente la ragione del proprio trasformarsi
e perpetuarsi trasformandosi.
Quando l’Umanesimo venne per tal modo, in chi prima
e in chi dopo, alla maturità della Rinascenza, lo spirito
umano potè mettere quasi l’anelito potente di una nuova
vita : e da filologia farsi filosofìa. Quando il nuovo Platone
e il nuovo Aristotele ridiedero all'uomo il concetto dello
immanente suo valore, e l’ebbero #allenato alla libertà
dell’esser suo, e dell’essere naturale a cui il suo essere
appartiene, lo stesso Platone e lo stesso Aristotele (questi
sopra tutto, che era stato il vero signore delle scuole e il
maestro di ogni umana sapienza) dovevano necessaria¬
mente perdere il loro prestigio di rivelatori privilegiati
delle verità naturali.