IV. CONCETTO DELLA GRAZIA E DELLA PROVVIDENZA 153
ditate perdidimus ». Quibus verbis manifeste significat opus
bonum, quod iam gratiae tribuit, si Adam non peccasset, fore
opus naturae; sed huius rei caussam inde repetit, quod
ante primum peccatum gratia Dei esset in natura liberi
arbitrii : gratia, inquam, illa, quae ad bene agendum ex
parte voluntatis requiritur t.
Questa natura liberi arbitrii, in cui, prima dei peccato,
era immanente la gratia, dopo del peccato è perduta; e
per quanta voluptas Dio ci faccia sentire nell'assenso al
suo divino suggerimmto, essa non può considerarsi una
espressione della stessa umana natura; come la sua vo¬
luptas del poeta latino. E quando perciò Vico nel De
constantia iurisprudentis raccosta la voluptas agostiniana
a quella virgiliana (e il raccostamento è già implicito nel
lubentem del De antiquissima), egli mette in Agostino e
nel Ricardo un po’, anzi molto del suo pensiero, che
tende a risolvere il dualismo insuperabile del domma
della grazia in una fondamentale unità.
Ma, tanto nel De antiquissima quanto nel Diritto Uni¬
versale il Vico, pure accennando con questa interpreta¬
zione sforzata della dottrina agostiniana a superare il
concetto trascendente della grazia, crede tuttavia di doversi
arrestare. E mantiene la necessità della grazia per spie¬
gare il processo dello spirito. Nella seconda delle due
opere testé menzionate si propone esplicitamente il pro¬
blema. Contrapposta la stoltezza dell'uomo caduto alla
eroica sapienza di Adamo anteriore al peccato,
concepisce la vita umana come un processo di realizza¬
zione dell’ infinito, ossia dello spirito. Dio è posse, nosse,
velle infinitum', l’uomo, poiché è corpo, oltre che spirito,
e poiché il corpo è limitato, è nosse velie posse finitum
quod tendit ad infinitum. L’uomo aspira a unirsi con Dio,
che è il suo principio; e questa aspirazione può compiere
1 Lib. Ili, disp. Ili, c. 23.