II. LA PRIMA FASE DELLA FILOSOFIA VICHIANA
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pascolo della sua mente: poiché in essi aveva portato un
abito mentale, di analisi e di penetrazione speculativa, che
della giurisprudenza doveva fare semplice materia di ri¬
flessione filosofica. Il giovinetto aveva avuto a maestro
un gesuita nominalista, il quale lo aveva spinto allo studio
delle Summule di Pietro Ispano e di Paolo Veneto: e se
r ingegno ancor debole da reggere a quella specie di logica
Crisippea (come rifletteva più tardi lo stesso Vico) si
smarrì, si stancò e abbandonò 1’ impresa, da quella di¬
sfatta dovette restargli una naturai ripugnanza a tale ma¬
niera di filosofare, tutta astratta, artificiosa e formale,
propria dei terministi. E se un qualche profitto ne ricavò,
non potè essere altro che negativo: il senso forse della va¬
nità di una filosofia che, staccati i concetti dalla realtà, e
perduto perciò ogni intimo contatto con la verità, si riduce
a giuocare con la combinazione de’ suoi concetti; un senso
di scetticismo, che gli s’insinuò allora nell'animo, e non
potè esserne snidato dagli studi di filosofia poco stante ri¬
presi e continuati sotto la guida d’ un altro gesuita, « uomo
di acutissimo ingegno, scotista di setta, ma zenonista nel
fondo » I.
Presso costui il Vico ricorda com’egli apprendesse
con piacere che le sostanze astratte hanno
più di realtà che i modi del maestro nomi¬
nalista. Lo scotista lo trattenne a lungo nella metafisica
dell’ente e della sostanza, e lo invogliò poi a studiarsi da
sé le Disputationes metaphysicae di Suarez, su cui il Vico
passò un intero anno. Perché, posta pure la realtà delle
sostanze astratte, chi assicurerà l’animo invaso una
1 Zenonismo è la filosofìa dal Vico attribuita a Zenone nel De an¬
tiquissima: specie di monadismo dinamico, qui attribuito allo sco¬
tista perché questi doveva spiegare la realtà fisica con principii meta¬
fisici. Ma intorno al significato di questo « zenonismo » nella filosofia del
tempo, vedi il pregevole studio di Giovanni Rossi, Vico ne’ tempi
di Vico: La cosmologia vichiana, nella Rivista filosofica del 1907, pp. 615-7.