VI. IL FIGLIO DI G. B. VICO
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perché le cose filosofiche senza splendore alcuno, senza
ornamento e ricchezza s’insegnano »l.
Nel 1756 insegnava filosofia, già dal ’41, nello Studio
di Napoli Antonio Genovesi. Pure Gennaro, da buon
figliuolo di Giambattista, dice vichianamente al suo udi¬
torio accademico:
Audacter dicam quod sentio: nostrorum temporum philosophi
nullum emolumentum eloquentiae afferre possunt, quippe nos
non ut ad hanc civilem lucem natos, sed tanquam ab hominum
societate sejunctos vitam acturos in sapientiae studiis instituunt;
etenim dum nimis curiose naturae secreta rimari conantur, mo¬
ralem penitus neglexerunt, eamque potissimam partem, quae de
humani generis ingenio, ejusque affectibus, de propriis virtutum et
vitiorum notis, deque illa decori arte omnium difficillima disserit :
atque adeo praestantissima de república doctrina nobis deserta et
inculta jacet; cumque hodie unus studiorum finis sit veritas,
vestigamus rerum naturam, quae certa est, hominum naturam non
vestigamus, quae ab arbitrio est incertissima.
Anche nelle ultime parole pare di scorgere una remini¬
scenza degli scritti paterni. Si ricordi il celebre luogo
della seconda Scienza Nuova : « A chiunque vi rifletta, dee
recar maraviglia, come tutti i filosofi seriosamente si stu¬
diarono di conseguire la scienza di questo mondo naturale ;
del quale, perché Iddio egli il fece, esso solo ne ha la
scienza; e trascurarono di meditare su questo mondo
delle nazioni, o sia mondo civile, del quale, perché l’ave¬
vano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza
gli uomini». Non più che una reminiscenza: già lo spi¬
rito è diverso.
Quapropter ad antiquos confugiendum ! Ma a quali
antichi ? Anche in ciò Gennaro segue da presso il padre.
1 Institui, orat., pp. 7-8. Ho citato la trad. del Parchetti, pel suo
sapore vichiano.