UT. IL CARATTERE BELLA FILOSOFIA ITALIANA 235
grande potenza spirituale; e ha innanzi a sé un vasto
arduo compito di civiltà, creatogli appunto da questa disci¬
plina una volta ottenuta, principio ed impegno, in faccia
al mondo, d’ima nuova storia.
Il vecchio letterato è morto ; ma ei dev’essere morto non
solo nel concetto e nel gusto degl’ Italiani, sì anche nella
vita, nel carattere, nella volontà. L’Arcadia e la rettorica,
l’accademia e la filosofia da eruditi devono essere davvero
un passato irrevocabile, morendo nei cuori, soffocate dal
sentimento religioso della serietà austera, non di alcuni
soltanto dei nostri pensieri e dei nostri atti, ma di tutti gli
istanti della nostra vita. A questo patto l’Italia manterrà
l’impegno contratto. L’Italia dei letterati crollò quando il
suo popolo seppe ascoltare la voce di un Gioberti e si levò
in piedi, e si strinse intorno a una bandiera, ed entrò in
Roma. Ma qui non può restare senza smettere le ultime
spoglie della vecchia coscienza, che distingueva e distin¬
gueva, e uccideva nell’uomo l’uomo, tarpando le ali al
pensiero, estraniando l’arte dalla vita e cacciando la filo¬
sofia tra le morte ombre dell’intelletto.
Qui Dante che aspetta, deve risorgere: non solo nella
gran luce di Monte Mario, ma nel profondo dell’anima
italiana. Questa è l’ora di rifare qui l’uomo intero, che
senta come pensa, e operi come parla, uno, saldo, con la
fede che spiana i monti perché fonde la volontà nel dovere,
e le dà così tempra d’acciaio.
L’Italia, diciamolo con Dante, mostra di aver ben appreso
quest’arte : ed eccola nell’ora del pericolo affollata sulle cre¬
ste dei monti percosse con vana furia di ferro e di fuoco
dalla rabbia nemica, e sulla riva arginata da una muraglia
di giovani petti, risoluta virilmente ad essere spezzata
piuttosto che piegata: e in tale risolutezza, già vittoriosa.
Ma quella tempra d’animo che non crolla, né vede ter¬
mine medio tra la morte e la vittoria nel trionfo dell’ideale
abbracciato, noi aspettiamo, noi vogliamo che dai campi